Carlo Pescatori appartiene a quella generazione
di giovani che, con una scelta coraggiosa, ripropose il figurativo
agli inizi degli anni Sessanta. I legami di questa pittura, giustamente
definita "esistenziale", erano da ricercarsi sia nel
superamento delle poetiche realiste da parte di alcuni operatori
che dal realismo erano partiti, sia nell'acquisizione dei dati
più nuovi emersi dall'informale da parte dei più
giovani che non avevano vissuto che marginalmente la stagione
realista.
La riproposta organica del figurativo, in un momento poco propizio
per l'espansione dell'informale, non è senza significato,
soprattutto per l'attento lettore che oggi vive i frutti del
lavoro di allora, come non è senza significato che questi
artisti fossero in gran parte "metropolitani" e vivessero,
meglio di altri, i contrasti sociali che il consumismo veniva
prepotentemente mettendo in luce nel tessuto apparentemente felice
del "miracolo economico" di stampo neocapitalistico.
E l'ambito poetico di quelle opere, con ritardi e anticipazioni,
si muove per tutto il corso degli anni Sessanta, indicando già
il cammino in cui sarebbe sfociato: "Sotto il nitore lucido,
- diceva il critico Cassa Salvi - e quasi fotografico, un sottile
rovello, un'ansia nascosta permea ogni aspetto, persino il più
insignificante della vita quotidiana; ogni oggetto, ogni creatura
porta su di se una sentenza di condanna, o rimanda all'idea dell'aggressione,
della minaccia, dell'insidia. La violenza insinua la sua lama
fin dentro gli angoli più riposti della nostra condizione,
persino nei giochi dei bimbi o negli arredi più banali
del nostro comfort "moderno".
E proprio nella dimensione cittadina, in cui meglio lo squilibrio
sociale faceva rivivere le paure e fu angosce dell'uomo contemporaneo
- è ancora la paura di Hiroshima -, nasceva l'esigenza
di una diversa dimensione oggettiva dell'immagine proposta. Non
dimentichiamo che, sempre negli anni Sessanta, avveniva la proposta
della "pop art" per cui veniva assunto, in modo più
diretto, il linguaggio di massa - la pubblicità - meglio
utilizzabile a livello di discorso visivo.
Problemi storici e problemi formali portavano dunque Pescatori
- e con lui altri artisti di base figurativa - ad approfondire
nel momento della quotidianità del protagonista, l'aspetto
più oggettivo delle cose divenute immagine: "E' il
tema della solitudine - diceva due anni fa Mario De Micheli -,
il tema del rapporto impossibile con una realtà resa enigmatica
all'uomo dall'usura cui l'uomo è sottoposto da una società
artificiale, denaturalizzata. L'ottica di quest'uomo diventa
così allucinante, netta, crudele. Lo spettacolo del mondo
si cristallizza, si tende in una staticità assoluta, perché
l'occhio dell'uomo ha perduto la sua umanizzante virtù
di conoscenza e di rapporto, ha cessato di essere organo emozionato
ed emozionante, per ridursi ad impassibile specchio di una natura
muta, sigillata, impenetrabile".
Già in questi temi - e in queste opere - c'erano le anticipazioni
delle opere attuali, oggettive, iconogrammatiche, allusive.
Il discorso recente di Pescatori approfondisce una diversa e
più reale "natura morta", in cui si recupera
prepotentemente la lezione di Leger - l'artista che rappresenta
il punto di partenza delle odierne ricerche -, lezione intesa
come rapporto tra un'immagine la più razionale possibile
e una presenza virile delle cose, che con la loro corposità
sanno parlare il linguaggio vero della vita.
Pescatori inserisce in diverse strutture compositive la sua nuova
"natura morta", esemplificata in alcune immagini di
razionale contaminazione: abbiamo così la riscoperta caravaggesca
ed il recupero della natura morta dell'"Ambrosiana"
- nella sua integrità ma più spesso in frammenti
che ne sottolineano la presenza/assenza -, ma abbiamo anche il
recupero di alcuni aspetti della civiltà visiva mediterranea
in senso lato, che vanno dal panno ripiegato, di significato
affine al sudario del Cristo, alla spugna che, imbevuta di fiele,
ancora ci riporta al dramma moderno della croce; e ancora abbiamo
i recuperi della cultura massificante del nostro tempo, sottolineati
dalla mascherina del motociclista, dal pistone del motore a scoppio
o dall'asta del cambio delle moderne automobili.
La contaminazione tra oggetti eterogenei risponde in modo diretto
agli aspetti contraddittorii della nostra cultura - visiva e
non - e indica le diverse implicazioni del nostro vivere quotidiano;
ma indica anche la frattura ideologica dell'artista contemporaneo,
la crisi dell'intellettuale che Pescatori sottolinea a più
riprese in quegli "interni" di sapore metafisico: l'opera
si presenta sempre più "ri-quadrata", l'artista
ritorna sulla propria opera in una sorta di circolarità
del messaggio, comunicando in definitiva la propria riflessione
di tipo ottico. E qui l'opera si fa acuta ironia. Pescatori "cita
Pescatori" e recupera gli ambienti e gli oggetti di vecchie
sue opere - i pesci del "CuI de sac", il cavalletto
e le teste classiche di "Odadrech",
-; l'opera
diviene strumento d'indagine non solo della realtà esterna,
sottolineata dagli oggetti rappresentati, ma dalla realtà
"interna" della pittura: non abbandonandosi al gusto
del gesto o dell'accadimento, Pescatori puntigliosamente denuncia
i limiti del proprio operare, indicando nel "fare pittura"
il mezzo a lui idoneo per ridare una nuova credibilità
comunicativa alla propria operazione.
Il quadro nel quadro, la struttura rigida, e insieme articolata
per quelle fatture che l'artista interpone attraverso l'uscita
dal riquadro di oggetti - più spesso una lamina metallica
e il panno/sudario -, diventano gli elementi sin tattici di questa
nuova composizione. Per questo, l'apparente ironia del vocabolo
che ritorna e si rincorre nelle tele - e sono i vocaboli che
abbiamo più sopra indicato - trasferisce in comunicazione
i dati raccolti dall'immagine, disponendoli sulla tela come in
un campionario di uno stand pubblicitario.
Nelle strutture lineari degli interni compaiono gli oggetti usuali
del consumismo, si modificano le strutture visive convenzionali,
il tavolo o il cavalletto diventano inutili e strane macchine
di diversa natura ed uso: sono qualcosa d'altro che, allusivamente,
ci ribaltano il luogo comune del nostro vedere quotidiano: ed
è il sottile gioco erotico che ritroviamo soprattutto
nelle frutta della natura morta caravaggesca o negli elementi
automobilistici - l'asta del cambio -; è l'inquietante
presenta della mascherina del corridore motociclista o della
foglia di vite, così simili a strumenti di tortura, o
del pistone che ci riporta alle macchine belliche; è la
corposità della spugna, quasi il fardello di una cultura
superata ma che permea sotterranea e che .riempie "d'aria"
quest'oggetto, contrapposto così alla bidimensionalità
delle altre presenze. E nel gioco allusivo di queste immagini
c'è tutto il valore di iconogramma dell'oggetto rappresentato,
realtà e realtà-diversa insieme, messa in crisi
di un valore e messa in crisi di un'ottica usuale, quale è
quella cui siamo abituati e condizionati dagli strumenti della
comunicazione contemporanea.
Il valore di auto-ironia e di auto-rappresentazione, il valore
di messa in crisi del nostro abitudinario oggi si intersecano
in queste opere; la struttura mette in crisi la nostra lettura
- tra fiducia e sfiducia - sotto l'apparente nitore e suscita
quelle inquietudini che sono il portato più vero di questo
recupero razionale del vocabolo d'uso comune. Contro la piatta
indifferenza, assistiamo al contraddittorio gioco di una cultura
che si mette a nudo utilizzando i dati più allucinanti,
ma usuali, della nostra temperie storica.
Maggio 1974