1. Volevo dire che l'acquaforte", annota Luigi Bartolini, in un testo scritto quasi sessant'anni fa (1), "non è,
come tanti la credono, una bazzecola secondaria dell'arte; non è il "bianco e nero" di cui i critici delle esposizioni credono lavarsi le mani": Carlo Pescatori conosce bene il valore dell'acquaforte, una tecnica che richiede la comprensione del segno, prima ancora che quella dell'equilibrato rapporto tra bianco e nero. Tecnica antica, intrapresa dall'incisore bresciano già alla fine degli anni Cinquanta, appresa con quella frenesia autodidattica, di colui che scopriva una
magia poco utilizzata, ma di fatto lasciata lievitare dentro di sè, inascoltata voce, a lungo, e venuta poi riemergendo ed esplodendo, quasi improvvisamente, tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta.
In quello scorcio di stagione, in cui sembrano giungere a conclusione le disillusioni di una generazione, Pescatori è tornato intensamente alla pittura, ha stretto relazioni mercantili con la bresciana Galleria "Fant Cagnì" (e indirettamente con un più vasto circuito culturale, milanese e, soprattutto, romano), ha riaccostato autori già frequentati nella seconda metà del decennio Cinquanta, e avvicinato (fino a stringere profondi rapporti di amicizia) nuovi autori, tra cui Attilio Steffanoni, figura di spicco in questa nostra rilettura, per le sue indubbie qualità in campo grafico.
La nuova esperienza poetica di Pescatori -a far capo dalla metà degli anni Sessanta- si muove sulle scansioni di un espressionismo figurativo, caratterizzato, in pittura, da colori freddi, acidi, desunti forse più dall'universo della tecnologia, che da quello della tradizione umanistica. Pescatori intende l'arte come civile partecipazione ad un dibattito, allora assai vivo. E la passione civile, dall'Algeria al Viet-Nam, sul piano politico, o dal Vajont all'Arno, che straripa nel cuore stesso della nostra cultura devastandola (novembre 1966), sul piano sociale, ha più di un pretesto per calarsi nell'attualità. L'Europa vive gli ultimi echi di una stagione che all'inizio del decennio si era accesa di speranze (Papa Giovanni, Krusciov, Kennedy), ma già vengono emergendo all'orizzonte le tensioni che il 1968 tradurrà in epigrammi sui muri di Parigi (di nuovo capitale mondiale della cultura e della lotta politica).
Dal punto di vista artistico, la stagione esistenziale si è ormai evoluta in contesti figurativi diversificati, dagli accenti più espressivi, in autori come Guerreschi, più ritmati ed espansivi, in uno scultore come Bodini. L'evento del decennio, che ha travolto gli ultimi, fragilissimi argini della prospettiva, è stato il movimento della "pop art", che ha sottolineato la necessità di un dialogo con il mondo dell'immagine massmediale.
Pescatori viene da una tradizione artigianale, di bottega; ha seguito suo padre sulle impalcature dei restauri in tante chiese bresciane, e forse, anche per questo, subisce meno il fascino comunicativo dei nuovi mezzi: in lui permane un atteggiamento colto, per cui comunicare per immagini è rifarsi in forme sempre nuove e mediate a quell'indispensabile vocabolario rappresentato dalla nostra millenaria tradizione pittorica. La vena espressionista, che lo caratterizza quasi da subito, è la variante individuale in un percorso evolutivo, abbastanza consueto in campo figurativo.
2. Il recupero grafico, come tecnica e linguaggio, avviene rapidamente: se ci si accosta alle prime tavole della fine del decennio Sessanta, ci si rende subito conto di una produzione espressa con grande maturità: lo stesso formato, assai grande, l'isolamento delle icone in una stretta relazione con il fondino bianco, la necessità quasi istintiva di utilizzare il colore, in una "gara" inconsapevole con il procedere pittorico in atto, tutti gli elementi delle prime tavole (tra il 1965 e il 1971) denotano una sicurezza espressiva, che non sembra figlia di una ripresa e di un numero, ancora esiguo, di opere prodotte.
La grafica - si diceva - era stata accantonata, ma non abbandonata; trascurata, ma non tralasciata; per questo le prime acqueforti appaiono subito così formalmente conchiuse.
I temi delle prime tavole pongono in atto una dicotomia, cui l'incisore si attiene per qualche tempo: a fianco di un elemento vegetale, quasi sempre le lunghe e lanceolate foglie, taglienti, quasi da assumere il significato della lancia vera e propria, compare un elemento che viene dal mondo domestico, spesso dal mondo del pittore: il tubetto, con le sue asprezze, con le frammentazioni della superficie, per effetto di progressivi schiacciamenti, diviene metafora di una poetica, che si misura con apprensione con la quotidianità degli eventi: come il tubetto, anche la realtà, dalle molte sfaccettature, non è che l'esito di uno schiacciamento progressivo.
Tali temi, che sembrano decisivi nella prima stagione, si affiancano ad altri, analoghi, che vengono emergendo subito dopo (1971-74), quasi per espansione dei primi; si tratta di temi, in una certa misura, brechtiani: accostano nella medesima immagine l'elemento meccanico e quello naturale. Spesso l'elemento meccanico viene da una storia colta o da qualche attività tecnologica curiosa: l'immagine incisa ne stravolge l'uso, facendone un elemento aggressivo, drammatico; ed è inquieto, in questa dimensione rappresentativa, anche il giunto per tubazioni, o il pistone, o la struttura meccanica che sorregge un qualsiasi manufatto: l'uso trasforma elementi quotidiani in una dimensione allusiva. L'occhio del pittore, alla riscoperta di un surrealismo appena accennato, quasi velato, sembra voler far emergere la verità stridente degli oggetti quotidiani, senza anticipare una cosalità, cui l'artista giungerà più tardi .
In lui permane una volontà di denuncia, un desiderio di rappresentare sulla tavola le emblematiche contraddizioni di un disagio sociale, cui non si può nemmeno attribuire un volto certo: mancano in Pescatori, come in altri autori del periodo, quei riferimenti politici che avrebbero consentito una identificazione "di parte": il disagio di Pescatori è di natura esistenziale, non storica; appartiene anch'esso a quella sconfitta cosmica che è propria dell'uomo, accresciuta -se si vuole- da uno smacco storico, che i tempi rendono così stringente e avvertito. I riferimenti tecnologici sono tutti inquadrabili in un contesto di relazione con il mondo, non sono ascrivibili ad un piano politico specifico, di parte, come si diceva. Tale interpretazione appare sorretta dall'analisi dell'elemento contrastivo, spesso di derivazione naturale. Facile il riferimento al contrasto tecnologia e natura: sarebbe tuttavia fuorviante, dopo averlo segnalato, insistervi più di tanto. Pescatori ha ben chiare le coordinate di un disagio, che attraversa la
nostra civiltà; nello stesso tempo, ha profonda coscienza della relazione con il segno, unica risposta possibile, interna, al procedere grafico.
In questa luce, se la tecnologia, con la sua linearità e asettica struttura sembra rinviare alla rigorosa e lucida razionalità espressiva, la natura sembra piuttosto tradurre le interne vibrazioni di una espressività inquieta e vibrante. Pescatori sembra far proprie, e mediare in se, all'inizio del suo cammino calcografico, due coordinate essenziali dell'arte del nostro secolo. Si vedrà più sotto che il disagio esistenziale diverrà in breve un elemento individuale, non più riconducibile ad una dimensione sociale o ad una riflessione sulla natura violata; e, per questa via, il segno verrà emergendo nella sua più difficile evidenza, che punta all'emozione attraverso il dosato equilibrio e la composta struttura.
L'aspetto civile, sociale e politico ad un tempo, domina le opere a cavallo del decennio; ma già attorno alla prima metà del decennio Settanta (tra il 1973 e il 1974) il modello rappresentativo è già sensibilmente mutato: l'altra componente essenziale del procedere poetico di Pescatori - cui abbiamo fatto di necessità un rapido cenno -, il recupero della cultura, viene emergendo abbastanza rapidamente in forme concrete, fino a dominare la scansione espressiva. Le sue tavole, perduti i riferimenti naturali, che in una certa misura sembravano rinviare alla poesia dello sguardo di Luigi Bartolini (2), vengono assumendo i connotati rigorosi del recupero caravaggesco: la natura non è il povero merlo appeso e spezzato negli ingranaggi della tecnologia; la natura è la fiscella della Pinacoteca Ambrosiana. In questo recupero vi è, ad un tempo, la capacità di far propria la componente pop, con la riduzione dell'immagine a icona, con la sua decisa bidimensionalità, con il dialogo interno al mondo dell'immagine, ma anche la sua negazione: Pescatori è venuto assumendo, come contesto comunicativo, la storia dell'arte, non quella dell'immagine di derivazione massmediale. Solo successivamente, l'immagine massmediale trova spazio nella sua storia grafica: si tratta dell'immagine fotografica, che acquista dignità e udienza, sia pure limitatamente.
3. Il primo decennio non presenta complessivamente un gran numero di opere. Pescatori utilizza la grafica a fianco del procedere pittorico - legame che rimane sostanzialmente costante in tutto il suo cammino -; per questo, il suo percorsa grafico non è dissimile da quello pittorico: solo la componente segnica, espressionista, appare più controllata dal rigore e dall'impaginazione; la tavola incisa, assai più di quella dipinta, nasce su piani preordinati.
Con la seconda metà del decennio forse anche per effetto di una maggior dimestichezza con l'attività incisoria, aumenta la quantità di tavole prodotte. E muta anche il suo rapporto con la raffigurazione. Gli oggetti e le forme, spesso isolati nelle rappresentazioni delle prime tavole, vengono ad acquisire una diversa valenza, attraverso l'inserimento dell'oggetto in un ampio contesto narrativo, ottenuto con il fitto intrecciarsi di segni. Risalito alle matrici della lezione morandiana, Pescatori viene costruendo la sua immagine su ritmi più distesi, su rappresentazioni più complesse.
In questa nuova ricerca poetica entra anche la fotografia, soprattutto là dove l'incisore opera in forma di narrazione autobiografica: il pittore nel giardino diviene uno dei temi chiave di questa stagione.
L'ampliamento del piano poetico al tema del pittore nello studio o in giardino va di pari passo con una accentuazione colta dell'immagine. La rappresentazione a volte diviene luogo in cui si concretizzano le immagini di una storia amata; più spesso, la rappresentazione vive una ridondanza di significato: è il caso, per esempio, della muraglia che chiude il giardino, causa di una oggettiva oppressione, reale e simbolica, sul lavoro del pittore; è il caso, per esempio, della serie dedicata all'incisore, in cui i soggetti del lavoro dialogano con la mano che li raffigura.
In questo modo, Pescatori amplia, per effetto d'alone, la sua inquieta metafora; racchiuso nello studio, nel dialogo costante con gli strumenti del suo lavoro, Pescatori si sente escluso dalla storia e dal mondo, che tuttavia non può eludere: nella sua riflessione si scontrano la serenità di un percorso colto e la drammaticità di una storia - privata e collettiva - dalle drammatiche tensioni.
Non serve, a questo punto, che si sottolineino più di tanto, per il lettore contemporaneo, gli "anni Settanta": si sta forse attraversando una delle stagioni più inquiete del secondo dopoguerra, quella che con una terminologia giornalistica si chiamerà "degli anni di piombo"; è la stagione delle "brigate rosse" e del "delitto Moro", quella di una perdita degli equilibri politici, che avevano, bene o male, retto le vicende del dopoguerra italiano. Sul piano privato, Pescatori sta vivendo il dramma di un progressivo spegnersi della figlioletta Carlotta. Sono tensioni che aiutano a comprendere l'incupirsi dei toni, il dramma trattenuto e tuttavia leggibile di una vicenda che, da privata, viene assumendo il valore emblematico di un ribaltamento.
Con gli anni Ottanta, questa lunga stagione operativa sembra giungere ad una parziale conclusione: Pescatori, attraverso un ciclo pittorico che vale la pena di recuperare in memoria, anche solo come riferimento contenutistico (3), tende a concludere le sue esperienze. Le quattro grandi pale (e la scelta terminologica è nostra) rappresentano un'intensa pagina dedicata al tema della coppia, dell'incontro, della nascita (della nuova vita), della morte: l'eterna metafora dell'umana vicenda sulla terra trova, nei simboli di un'iconografia religiosa e sacra, la sua concreta espressione sulla tela.
E, in una certa misura, anche attraverso l'indagine sulla propria psiche, che l'opera presenta, serve a chiudere, a tirare le somme di un bilancio, su una generazione e su un pittore.
A oltre vent'anni dalle prime opere grafiche, Pescatori si trova come liberato da un assillo, da un rovello, che aveva inquietamente agito su di lui: era il tarlo che plastificava la frutta della sua fiscella, era l'incrinatura che corrodeva il marmo. Pescatori ha convissuto a lungo con una inquietudine senza volto, con un disagio sociale, che non si traduceva in una storia emblematica. In questo senso, la storia della sua pittura sembra giungere, alla metà degli anni Ottanta, ad un discrimine decisivo.
Già a partire dalla fine degli anni Settanta, e più ampiamente con gli anni Ottanta, nella grafica, Pescatori aveva anticipato inavvertitamente le conclusioni, cui sarebbe di lì a poco giunto in pittura. Con il nuovo decennio, l'accento grafico, pur senza perdere l'impronta del suo stile, acquista una differente verità, una rinnovata qualità di tono.
4. Le nature morte, che entrano nella ricerca di Pescatori, a partire dalle fine degli anni Settanta, e con maggior vigore a far capo dal decennio Ottanta, si caratterizzano per una diversa impostazione stilistica. Pescatori ha definitivamente abbandonato la riflessione sul rapporto tecnologia-natura; anche la necessità culturale legata all'iconografia desunta dalla storia dell'arte, che era cresciuta sulla citazione caravaggesca, è venuta non gia sparendo o spegnendosi, ma modificandosi in virtù
dell'evoluzione stilistica: tutto il vocabolario grafico della "natura in posa" di seicentesca memoria viene assunto da Pescatori, fatto proprio, ridotto alla contemporaneita e riutilizzato.
In questo ciclo, Pescatori anticipa la pittura attraverso l'immagine incisa; se inizialmente era stata la pittura ad acrilico a precedere
l'incisione, determinando una dimensione ampia dello spazio del bianco, lasciando isolati gli oggetti in un non-luogo, che è quello della lastra non incisa, successivamente, come numerosi altri peintre-graveur, Pescatori ha portato avanti in contemporanea pittura e incisione, con una leggera prevalenza, forse, per la prima. Con le tavole che si incontrano tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta, per la prima volta l'incisore bresciano si trova a fare i conti con un'idea stilistica che procede prima per via grafica e solo successivamente - anche alcuni anni dopo - trova attuazione nella ricerca pittorica: anche esplicitamente, Pescatori diviene un grafico.
Gli oggetti che compaiono sui tavoli delle "nature in posa", i frutti raccolti nel cesto, i vasi di ceramica o i contenitori di vetro, il flauto appoggiato al muro, sono tutti elementi che risalgono all'iconografia colta del Seicento: già allora queste "nature morte" furono chiamate "vanitates" prendendo spunto dal testo biblico di Qoèlet o Ecclesiaste. Gli uomini sottolineavano, attraverso alcuni oggetti, la fragilità della bellezza (il fiore reciso), il trascorrere del tempo (la clessidra), la fragile consistenza di ciò che appare splendente (il vaso di vetro o di ceramica): in una parola, ad ogni oggetto veniva attribuito un significato simbolico (4), che trova forse la sua maggior chiarificazione ed emblema nel teschio.
Aver voluto recuperare, alla fine degli "anni di piombo", tale dimensione ha un significato che va al di là dell'operazione grafica: Pescatori ha "chiuso" (almeno per se stesso) la pagina trentennale delle illusioni del dopoguerra, e forse trova la forza o sente la necessità di parlare dei grandi temi. Le illusioni (forse le speranze) di un'età di pace si sono frantumate in un crescendo di violenza, che l'arte registra ma non può impedire, travalicante agli ambiti della pittura. Anche l'impegno civile, il quotidiano muoversi dell'artista sui consueti sentieri dell'arte a sfondo sociale, viene a scontrarsi con i nuovi problemi di senso, di significato, del lavoro artistico. Gli stessi sperimentalismi del decennio, per quanto non molto presi in considerazione dall'incisore, hanno comunque posto riflessioni e quesiti sul linguaggio, hanno definito ambiti e progetti. Pescatori si è reso probabilmente conto che una notevole serie di ricerche, a partire dagli anni Settanta, ha tentato di dar voce a una nuova dimensione dell'arte, finendo spesso per approfondire, in forme preziose e articolate, il grande nulla.
Nel riattingere alla vanitas, l'artista fa proprio il bisogno (collettivo) di quelle verità eterne, profonde, forse remote, e tuttavia sempre attuali, che documentano una diversa verità e una differente presa di distanza dalle vicende del mondo. Anche l'impegno, un po' vociante e un pò retorico viene attenuato sui valori dì una ricerca, che si emoziona per il trascorrere della luce sulla superficie di un frutto, si appassiona per l'ombra che scende sul muro da un flauto posato: anche il flauto con il suo dolce, impalpabile suono, con una sua delicatezza che dura soltanto l'attimo della nota, entra in quello schema simbolico dominato dal senso dello caducità.
La via intrapresa da Pescatori, che si era mosso su percorsi non sempre lineari, ritrova tutta la pienezza di voce nella linea fondamentale rappresentata dal valore etico: non è tanto una domanda suì destini, ma sull'essere.
Pescatori si interroga - e ci interroga - sul senso dell'esistere: in questa direzione, i valori tonali, di ombra e di luce, assumono una differente connotazione, entrano nella linea diritta della tradizione, manifestando il loro portato significante di natura simbolica. Anche gli oggetti escono da ogni richiamo al naturalismo e vengono manifestando quello spirito emblematico, che è caro a tutta la tradizione della lettura del mondo esterno, del fuori di sè, nell'arte contemporanea.
L'operazione grafica rivolta alla "natura morta" alimenta un discorso linguistico più complesso: i legami tra oggetto e sfondo vengono accresciuti da una qualità più alta del procedere artistico; l'insieme della tavola, senza perdere i valori tonali dell'equilibrio e della misura, si propone come un tutto unico. Pescatori introduce le luci, prima quasi espunte dalla pagina grafica, all'interno di un percorso ormai tutto basato sul ruolo simbolico dell'oggetto evocato: dal racconto, che ancora sotterraneamente sembrava sotteso alle tavole precedenti, si passa alla evocazione, alla dichiarazione di una realtà mitica, mentale, dell'oggetto rappresentato, così da rinvigorire il piano riflessivo: la vanitas non è altro che la sottolineatura di un'assenza, un radicamento ai valori etici, e una riprova della loro distanza dal mondo.
5. Sul valore della luce ritrovata, ma anche sul più regolare intreccio dei segni, che costruiscono la trama dell'iconografia della tavola, viene emergendo una necessità che compare alla metà degli anni Ottanta e giunge fino alle più recenti prove. In una accezione che sta tra la memoria e la veduta, anche il "paesaggio" - e soprattutto il "paesaggio urbano" - entra nell'opera dell'incisore bresciano. Chi abbia seguito fino a questo punto l'indagine sulla grafica, ricorderà l'immagine del pittore di schiena, "imprigionato" in un paesaggio urbano, che voleva riprendere, rappresentare, ma da cui era in realtà ripreso/rinchiuso: l'incombente presenza del muro fungeva da detonatore dell'intera rappresentazione.
Pochi altri segni entrano, per così dire, in questa ultima vicenda. La prima scoperta di realtà urbana avviene quasi per diletto, per l'inconsapevole desiderio di fissare sulla tavola alcuni aspetti caratteristici della propria città, in via di rapida trasformazione, in conseguenza del degrado urbano degli anni Ottanta. Da attività marginale, il paesaggio urbano ha finito per assumere una sua dignità, la dimensione evocativa di un luogo che rappresenta storia e memoria, nostalgia per un'infanzia lontana e inquietudine per un presente superficiale e transeunte.
Se l'accelerazione, la rapidità sono l'aspetto essenziale del nostro tempo, il nuovo vedutismo di Pescatori tende a sottolineare quei valori duraturi, meno fuggevoli, del mondo che ci circonda. Di fatto, i luoghi celebrati di una città sono anche i luoghi immobili e immutabili, preservati come sono dalle trasformazioni in virtù di una sospensione del giudizio, di una esemplarità storica che li fa immuni da ogni cambiamento.
Così facendo Pescatori viene tuttavia a ribaltare i contenuti classici del vedutismo settecentesco: là una luminosità
scoperta nei paesaggi urbani (reali o inventati, poco importa) significava un'idea di progresso, si identificava nelle "magnifiche sorti progressive"; in queste tavole, una malinconica saggezza sembra pervadere la raffigurazione. I luoghi appaiono investiti da luci laterali, che allungano le ombre, mettono in risalto gli acciacchi del tempo (gli screpolati muri di montaliana memoria), ma anche la solenne presenzialità di un filare di gelsi, scampato per avventura alle trasformazioni del paesaggio agrario. Non idillio, ne condanna: una visione inquieta, senza cadere nel dramma, una visione verisimile, senza cadere nella fotografia, la veduta di Pescatori sembra voler riassumere la condizione di attesa, una sorta di sospensione del giudizio, in un tempo in cui la trasformazione può travolgere quanto ci circonda, e solo l'immagine può salvare la dimensione di lettura di una pagina significativa.
Per questo si diceva dei luoghi storici ma meno celebrati; per questo il paesaggio agricolo delle colline che circondano la città entra in questa indagine, al pari del manufatto urbano, ne rappresenta l'alter ego. Pescatori va alla ricerca di una propria identità, che pone a fianco dell'altra, quella legata alla vanità: forse, anche la veduta, a suo modo, è una ampia vanità. Forse anche la città, con i suoi segni che determinano il suo apparire, non è nient'altro che un'invenzione destinata a naufragare, se le viene a mancare il segno che la solleva a livello di costruzione mentale, di mito perenne: e si direbbe quasi che l'incisore voglia recuperare un'antichissima funzione poetica, per il proprio vocabolario incisorio.
Brescia, marzo 1996
Note:
1) L. Bartolini, Ragionamento sopra le acqueforti di Fattori; in Letteratura, Firenze,
Parenti, 1937 (ripubblicato in L. Bartolini, Scritti d'arte, Milano, Libri Scheiwiller,
1989).
2) L'uccello ucciso che Pescatori inserisce nelle sue tavole del periodo appare come una citazione del Merlo appeso, 1932, del maestro di Cupramontana.
3) Si fa riferimento al ciclo, esposto dal 25 ottobre al 14 novembre 1986, presso la
Galleria Schreiber di Brescia: C.P., Committente Prof. Dr. S.F., Brescia, 1986,
con un'autopresentazione sotto forma di lettera che, significativamente, termina
con la citazione dei vv. 221-223 dal V° libro dell'Odissea, in cui il cuore di
Ulisse viene detto "forte di molti dolori".
4) Nello stesso periodo, su un'identica struttura di pensiero, Pescatori costruisce un ciclio pittorico intitolato Homo Bulla, l'uomo "bolla di sapone", alito di vento, breve parvenza destinata presto a scomparire.