Brescia, maggio 1945

In Europa la guerra e finita, continua però in Giappone, che ormai stremato, presto dovrà chiedere la resa.
Qui da noi, il primo segnale di pace è stata Ia parziale abolizione delle tessere annonarie: il pane bianco è abbondante nelle fornerie. Le truppe americane, ricche di ogni ben di Dio, forniscono alla popolazione stremata carne in scatola, latte in polvere, riso e beni di vestiario. Gli operai rientrano nelle fabbriche e danno inizio alla produzione. Operai edili, come Iaboriose formiche, demoliscono Ie strutture pericolanti degli edifici distrutti dalle incursioni aeree e autocarri americani "Dodge" trasportano Ie macerie nelle periferie della città. Gli sfollati, se l'abitazione è agibile, rientrano a casa. La vita civile riprende con grandi speranze.
Mi chiama mio padre: "Senti Giancarlo, con il signor Virgilio (il pittore Vecchia) andremo dall'avvocato Feroldi che ha riportato in città i dipinti della sua prestigiosa raccolta e desidera una verifica delle stato di conservazione, dopo tre anni di stoccaggio in una antica residenza in Franciacorta".
Sono assai agitato al pensiero di vedere dal vivo i dipinti che tante ho ammirato sul libro ed anche orgoglioso di essere d'aiuto a mio padre.
In una valigetta rigida di "vibram" colloco del materiale che, per mio papà, possa essere utile per eventuali, provvisori interventi: essenza di trementina, garzette rigide, pennelli e una bottiglietta di una mistura composta di cera vergine e vernice Damar, cotone idrofilo, martelletto da tappezziere.
E' crollato il cinema "Palazzo". La terre del grattacele e erba del dolcissimo bassorilievo "Annunciazione'" di Arturo Martini. Via Dante è un cumulo di macerle e il transito è ancora vietato. Anche Ia grande scultura in marmo di Carrara "Era fascista" del Dazi, dai bresciani chiamata Bigio, è scheggiata.
Muratori e scalpellini ripareranno i danni, ma chi Ienirà il dolore patito dalle genti in questo conflitto che gli storici chiameranno "Seconda Guerra Mondiale"?
Ci riceve l'avvocato con grande cordialità; un commesso sta già liberando dagli imballi i celebri dipinti che appoggia alle pareti. Mentre aiuto il commesso in questa faccenda, ascolto Ia conversazione dei tre sperti. Parlano deII'ultimo furioso e inutile bombardamento; ricordano le troppe vittime e delle grandi opere storiche distrutte. Mio padre rammenta le chiese dei Miracoli e di Santa Afra da lui anni prima restaurate dopo secoli di abboandono. Poi il dialogo si fa più pertinente alle opere già in evidenza.
Vicino alla finestra ci sono le opere di De Chirico; L'enigma dell'ora datato 1911 è oggetto di discussione dei tre, che parlano di Bocklin e di Shopenauer.
lo ci capisco poco o nulla, ma ascolto ammirato le Ioro sottili considerazioni.
Davanti a Le Muse Inquietanti del 1917, accennano alla Metafisica, discutono di dissociazione formale, evidenziano il gioco della falsa prospettiva e Io stato di straniarnento dell'osservatore.
In merito a questo dipinto citano il saggio di Nietzsche: "Ecce Homo".
Ora pero i "tre" vanno sul pratico: Io stato di conservazione delle opere è ottimo e non necessitano di nessun intervento, Allora riprendono ad anaIizzare dipinti per il Ioro valore storico e formale; di Carrà e di Guidi notano la ricca pasta pittorica, di Morandi poi, apprezzano la capacita di imprigionare Ia Iuce tonale con una tavolozza di grande semplicità. Poi parlano di Campigli, di Sironi, e di Ardengo Soffici. E qui il Feroldi racconta del bel rapporto con il pittore-scrittore che viveva a Parigi e che da questo centro delle avanguardie artistiche gli ha consigliato I'acquisto di Picasso, Braque, Matisse, del doganiere Russeau, del parigino Utrillo e del bohemien Modigliani.
Cerco fra i dipinti il Modigliani, non è fra quelli esposti, pero, su un cavalletto è posto un dipinto coperto con un drappo; incuriosito, prendo un lembo del tessuto e lo sollevo e il "nudo rosa" del grande Iivornese.
Dicono che un celebre scrittore francese, davanti ad una sublime opera esposta nella Galleria degli Uffizi, a Firenze ebbe un mancamento, stato fisico e mentale chiamato in seguito "Sindrome di Stendlhal".
Io, non so se per emozione estetica o di altra specie, davanti alla visione di questo nudo disteso, dove il pigmento diventa carne pulsante, sono assalito da un grande turbamento. Contemplo di nascosto il dipinto, dico grazie a Modigliani per avermi fatto scoprire la magia dell'arte che sa trasformare l'inerte greve materia pittorica in una immagine confidenziale, attraente, intima. Il mio cuore è in tumulto, decido qui il mio futuro: farò il pittore!

Presentare al pubblico bresciano una mostra personale del maestro Carlo Pescatori è per l'AAB un onore e, prima di tutto, un piacere. Significa intrecciare, nelle fasi preparatorie, nuove e sempre feconde relazioni con un artista di grande spessore, con una personalità di grande cultura, con un uomo di garbata e illuminante ironia. E significa presentare a un pubblico vasto di estimatori Ie nuove e nuovissime prove di un artista sempre giovane.
Pescatori è, fra le molte cose, una delle memorie più Iucide del Novecento artistico bresciano: un figlio d'arte, visto che il papà Mario è stato - nella propria epoca - il più grande restauratore di affreschi nella nostra provincia. Aggirando il rituale della presentazione critica Pescatori ha scelto di introdurre da sé questo catalogo attraverso il racconto "E' tutta colpa di Modì", in cui appunto si affaccia la figura paterna. Un racconto che dischiude la vena narrativa deIl'autore, l'epifania di una vocazione artistica, la radice di una ribellione. AI padre che gli intimava di ottenere un posto sicuro, dopo un diploma da geometra e tre anni di lavoro all'Asm, Carlo Pescatori oppose infatti una scelta artistica totalizzante che l'ha accompagnato per una lunga vita nutrita di amicizie scelte, alcuni viaggi e tante buone letture (da Romano Guardini a Kierkegaard). Una pittura colta e ricca di riferimenti - dunque - quella di Pescatori, come conferma questa mostra in cui si alternano omaggi a grandi maestri delI'arte: da Morandi a Caravaggio, da Magritte a Zurbaran.
Un secondo nucleo espositivo ` rappresentato dalle marine, trasfigurazioni e riflessioni nostalgiche delle vacanze neIl'amatissima Isola d'EIba.
E ancora, Ia serie delle Veroniche in cui a rimanere impresso, quasi intrappolato sul telo non è il volto del Redentore ma, in un rovesciamento di ruoli, il volto o il corpo femminile sia esso eco di grandi quadri antichi o riflesso di palpitanti ferite del presente. Non manca una singolare, intrigante operazione di ripresa e ripensamento da parte di Pescatori di proprie opere di un passato anche lontano, su cui il "nuovo" Pescatori imprime inedite - e spesso più amare - riflessioni guardando alle condizioni in cui abbiamo ridotto il pianeta.
Tutti i quadri sono volutamente privi di cornici, all'insegna di una nudità deII'arte a cui il maestro ottantenne ama risalire. Ogni quadro va guardato tenendo d'occhio il titolo che l'autore gli ha assegnato: lì si rivelano appieno l'intenzione, il progetto, la suggestione. Pescatori un pò per vezzo e un pò per celia, va ripetendo che questa sua mostra dl "Furtivi sguardi su dipinte tele" sarà l'ultima. Noi ci permettiamo di nutrire dubbi - e speranze - di segno opposto, e ribadiamo che l'AAB è stata e sarà sempre una casa accogliente e ammirata nei confronti dell'arte, della cultura, dell'umanità di Carlo Pescatori.

Gli amici lo chiamano ancora Carlino. O Carletto quelli più intimi. E lui Carlo pescatori si è fatto ancora più minuto per attraversare la città senza essere visto e rinchiudersi, quasi isolarsi, come vorrebbe e senza poterlo fare, nei suoi pensieri. Adesso mi dice, ho solo bisogno di capire, capire, e riflettere. Nella bella antologica che ha in corso all'Aab, troppo ignorata dalla città, Pescatori condensa decenni di ricerca per l'arte, il traguardo maturo di un artista decano della pittura bresciana, ma anche simbolo di una lunga stagione civile. A guardare la sua figura e la sua pittura si vedono condensati, riassunti gli anni della città dal dopoguerra al duemila con il tempo della ricostruzione, il lungo regno di Bruno Boni, le ferite di piazza Loggia e l'avvento della società liquida. Nella sua pittura si riverberano i caratteri popolari e nobili dei bresciani e dei loro penati cinquecenteschi, il Moretto e il Romanino. Carlo è erede di una antica tradizione, il padre pittore e restauratore di fama. Ha attraversato il suo tempo con la fedeltà e la tenacia ai valori della vita, con un sorriso ironico sotto i baffetti alla Charlot, un personaggio pieno di futuro e di passioni con le quali ci ha arricchito.

Nella precarietà del vivere c'è una scuola dello sguardo, ci dice Pescatori, che scandisce il ritmo della antica vanitas, il senso segreto delle cose che si trasformano e svaniscono, insegnandoci a mettere ordine e a trattenere nella memoria e negli affetti anche una dignità del vivere e dell'aver vissuto. Il percorso di questo pittore (poche le opere storiche in mostra) si è svolto dallo scandaglio di una condizione umana travagliata e turbata, nel gioco sarcastico e amaro di teatrini visionari che inscenavano conflitti esistenziali e sociali, fino a un viaggio senza moto dentro le pareti dello studio, tra oggetti di mestiere e pochi elementi riassuntivi di tutta la tradizione artistica. E anche nella poetica di reperti d'artista, è passato dall'autonomia minacciosa degli oggetti, in un luogo di vita spaesata, all'intimità visionaria che contempla nature morte come forme inerti che racchiudono sentimenti in solido. In più, si ostina ancora a inseguire "un brivido di luce che scivola sulle acque": erano quelle del Sebino e delle Torbiere, continuano ad essere quelle dell'amata Isola d'Elba. Nelle marine si riallaccia al ciclo di paesaggi che intitolò all'Araba Fenice, l'uccello favoloso che muore in un braciere d'aromi e rinasce dalle proprie ceneri: l'arte che si ripete e rinnova nella sua stessa decoratività magica e intona il valore del sentimento, della sensibilità, dello sperdimento di sé su un ritmo sapiente di leggerezza cantabile come in un'arietta del Metastasio. Il vecchio Pescatori si abbandona allo stupore innocente e fiducioso che è solo dell'infanzia, di fronte alla trasognata evanescenza del mondo, quindi della pittura. L'arte non è un calco. Il dipinto è un luogo di resistenza che cerca di trattenere intatta, come un'ombra tiepida, una sensazione assoluta, un umore di luce tra corpo e assenza. Come nel ciclo della Veronica, dove mette alla prova la potenza iconico-sacrale dell'arte e il gioco incrociato di sguardi che ne costituisce il fondamento, proiettando sullo sfondo del lenzuolo del Volto Santo dipinto da Zurbaran nel Seicento citazioni di nudi di donna tratti dalla storia della pittura e dai media. Tra gli altri il celebre nudo rosso di Modigliani che Pescatori scoprì a Brescia nel 1945 in casa del collezionista Feroldi, celato da una tendina, e che lo indusse a darsi per tutta la vita alla pittura, come annota in catalogo, alla ricerca del piccolo grande mistero che trasforma un pigmento in carne pulsante, una greve materia pittorica in palpito intimo e attraente.
Il sortilegio è in un brivido di luce: una nostalgia di evasione, di libertà, come se potesse penetrare oltre il velo che sta dietro le cose visibili.

Conosco da anni il racconto che dà il titolo all'ultima mostra di Carlo Pescatori.
1946 o 1947: Carlo ha 14, 15 anni. Sa che in casa Feroldi c'è un capolavoro (il "Nudo rosa") di Modigliani) pieno di malizie, ingigantite dalla fantasia dell'adolescente. E durante una visita con il padre Mario da Pietro Feroldi riesce a sbirciare con un "furtivo sguardo" la tela nascosta da un drappo.
E' il contatto decisivo. Impara da subito che la pittura non è solo racconto: è "immagine confidenziale attraente"; è la verità che va oltre la narrazione, e può mostrare il non mostrabile. Dopo Feroldi e dopo aver soggiornato a lungo nella collezione Mattioli, il "Nudo" di Modigliani è approdato nella raccolta di un magnate cinese per una cifra tanto elevata che non saprei nemmeno scriverla.
Carlo ha voluto riassumere in questa mostra che chiama ultima (ma noi non ci stiamo) alcuni dei temi che hanno accompagnato il suo lungo cammino. La città conosce le sue opere dagli anni Cinquanta: allora l'impegno fu la critica sociale - contro la tv; poi fu critica politica (i fiori per Huè, una grande città del Vietnam); infine fu critica tout-court, e furono le devastazioni iconografiche dell'arte classica e i mari solitari, la canestra caravaggesca, posata su stridori metallici. E fu impegno fino a quando, sul finire degli anni Settanta, Pescatori si accorse che il "rosso" era finito, e raffigurò il tubetto martoriato dai pollici che ne avevano spremuto anche l'ultima goccia. Poi venne la tetralogia dedicata a Freud con cui descrisse le vicende di un'esistenza.
L'impegno divenne solo la pittura, ed iniziare dall'importante "settimana della Vanitas", in cui accostò la pittura alla morale; l'impegno divenne rigore, mestiere, ironia anche, quando si rappresenta attraverso un ciuffo di capelli e lo sguardo sempre attento, dietro una tela che raffigura un nudo femminile. Si può scherzare con la pittura e sulla pittura; ma dietro la "bella pittura" non c'è solo gusto, accademia, sapere; c'è la forza e la gioia di colori che sanno di carne.
L'arte chiede tanto, quel "tanto" che papà Mario gli ha trasmesso. E attraverso la pittura, Pescatori riscopre se stesso. La pittura, con i suoi intimi valori, è la lingua che si conosce e sa dare forma e figure al sogno o alle inquietudini. E nell'epoca del disimpegno è un richiamo importante, un richiamo d'antan forse, ma proprio per questo doppiamente utile.
Grazie Carlo; ma stai tranquillo: metteremo da parte i tuoi consigli perché questa stagione è per la "trovata" allegra e piacevole, che dura meno dello spazio di un mattino. Non avere paura: lo skyline non potrà trascrivere il profilo del tavolo di posa in via Fondazza.

Un percorso artistico tra i più significativi del secondo Novecento bresciano quello di Carlo Pescatori (1932), protagonista della mostra "Furtivi sguardi dietro dipinte tele" proposta all'AAB in vicolo delle stelle (fino al 2 maggio, 16-19,30, chiuso il lunedì). Pittore e raffinatissimo incisore, è stato sempre vivace protagonista del dibattito culturale cittadino, innestando nella sua ricerca, sviluppata nell'ambito di una figurazione legata alla grande tradizione pittorica, ma spinta verso soluzioni di spiccata apertura alla modernità, un profondo sentimento civile, vigile e critico verso i disagi e le degenerazioni della società, ma anche più intimamente rivolto all'individuo e alla sua condizione esistenziale.
Il suo innamoramento per la pittura e la scelta di dedicarle la sua vita è "Tutta colpa di Modì", come riferisce in un racconto pubblicato nel 2014 e riproposto nel catalogo della mostra. Nel lontano '45, sbirciando sotto un drappo, ebbe il privilegio di "farsi rapire" dal "Nudo rosso" di Modigliani, appartenente allora alla collezione Feroldi: "Davanti alla visione di quel nudo disteso, dove il pigmento diventa carne pulsante, son assalito da un grande turbamento. Contemplo di nascosto il dipinto, dico grazie a Modigliani per avermi fatto scoprire la magia dell'arte che sa trasformare l'inerte greve materia pittorica in una immagine confidenziale, attraente, intima. Il mio cuore è in tumulto, decido qui il mio futuro: farò il pittore".
Capace di usare anche le parole come fossero i suoi brillanti colori, Pescatori si è espresso nella scrittura con la stessa vena colta, intelligente e a tratti ironica che scorre nei suoi dipinti, intrisi di riferimenti e citazioni che si accumulano in composizioni ragionate, dove la geometria delle forme incastra presenze nobili, prelevate dalla storia dell'arte, trasfigurandole e ribaltandone il senso in chiave simbolica (la serie delle "Veroniche" ispirate a Zurbaràn) a piccoli frammenti di poesia domestica e quotidiana. La sua riflessione, dall'omaggio ai grandi della storia dell'arte (Caravaggio, Morandi, Magritte...) sa spostarsi nella poesia del vissuto presente, dai colori cangianti e aciduli si smorza in vibrazioni tonali che evocano nostalgie e tenerezze, dall'amarezza di riflessioni disincantate sa addolcirsi in un messaggio che ci piace immaginare di fiduciosa attesa.

Fa lo Stato alla sua nazione. Sogguarda visioni militanti e dalla soglia le ammansisce - ormai gli è sufficiente un cenno: obbediscono. Ma non è padre severo, ordinato, Carlo Pescatori; i suoi anni sbarazzano dai ruoli preconcetti le opere-figlie, a volte sta al gioco e sdraia con loro a giocare, lasciandosi disfare tutto.
Ventuno anni addietro era l'enigma dell'Araba Fenice, mortaretto spento tra i palmi, ingrassato con "colori pettegoli" Adesso quelle mani slanciano l'attrezzo della messe, un kukri affilato per la provvista o la provvisione o la scorta felice che non attende l'inverno. Ci si aspetta il pandemonio. Invece, sono "furtivi sguardi su dipinte tele". Un casto riordino.
Da quando dava suggerimenti ai copisti del Louvre (far vibrare il blu con una punta di grigio). Da quando, al Prado, cambiava la didascalia di un Volterrano ("E' su rame, cobre, mica legno!"). Da-a, Pescatori tira i fili rossi, del "buon pittore: regista, elabora un palinsesto, dirige sbattimenti di luce, incanala memorie visive". Che fondamentalmente, qui, si snodano sul ciclo da Zurbaràn, sull'"esperienza di vent'anni fa, a Madrid, quando gironzolavo per musei chiamando sera, insieme a Fallani e Tadini - racconta l'artiere -. Al velo della Veronica, impresso il sudore della fatica e della morte di Gesù, capii che tocca sempre alle donne asciugare i problemi, le atrocità, mai nessuno che deterga le ansie, le aspettative, i silenzi loro". Ecco la carne stesa, frantumata da pieghe vive, arrostita in ustioni: "il corpo femminile non ha difese, corazze, è la Vittima sacrificale".
Il disimballaggio sulla strada maestra dei grandi (Modigliani, Merisi, Magritte, Bonvicino), continua con gli omaggi al loro mistero. "Da occidentale di fronte alla Pop art, davanti ai miti di zuppe e coca-cole, mi sono chiesto ma cosa facciamo, noi che abbiamo una grande storia? Qual è la controproposta? Perché non possiamo rivivere il nostro passato, lentamente e con amore?". Con consapevolezza verde: "Il dipinto all'ingresso l'ho fatto nel '74. Non esisteva una coscienza ecologica. Giravo a Milano, alla vecchia Bovisa,mi interessavano i paesaggi apocalittici, il post industriale. L'aria, mefitica. Il silenzio, di morte. Caravaggio, tu, ora, la canestra l'avresti dipinta in bianco e nero, pensai. Così la Canestra anemica. Così, ancora, spero in un movimento in difesa del pianeta, senza razzismi e prevaricazioni. Noi del dopoguerra abbiamo vissuto nei confronti dell'esistenzialismo, poi venne Mancuse, poi Paolo VI, con l'enciclica Populorum Progressio: il senso di un riscatto, l'uomo che si rifà".
Pescatori dice d'essere "il travicello arrivato alla foce". Eppure nulla, in lui, sa di sfinimento. La dedizione patologica alla pittura rafforza una personale semiotica, dentro e fuori le nasse di mari vissuti, sopra e sotto fluorescenze. Replica in "segnali gestaltici" - il cerchio, l'anello, l'amo. Riapre porte trascorse: "Quello di New York fu meccanismo perverso - sorride - . Avrei dovuto eseguire un quadro al mese, uno per ogni Paese in cui la United Fruit Company stava aprendo mercati. Dissi no, forse persi un treno, ma preferii percorrere la mia strada a piedi, lungo la banchina. Per essere un artista internazionale ci vogliono polso, fiato; io avevo moglie, quattro figli, le mie piccole cose, una vita a misura, il ripetermi ma la gloria, cos'è? Niente, semplicemente, bisogna fare quel che si sa fare".